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Categoria: Recensioni
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Ai confini tra la figurazione e l’astrazione vive una terra di mezzo, in cui possono accadere

tante cose, che risentono dell'influenza che viene da una parte e dall'altra, confondendo

diversi piani di linguaggio, che si scontrano, determinando una certa aura di novità

e d’indeterminatezza. Ma non solo, anche di sospensione, in quanto si pensa che un

terreno di precipitazione, formale e contenutistica, ci debba sempre essere, mentre può

avvenire che tutto rimanga così indefinito e indefinibile, è nato un nuovo spazio, virtuale.

Giuseppe Vaccaro si applica ad immagini che via via ritiene di dovere scegliere per soddisfare

il suo bisogno di esprimersi per mezzo del verisimile, di ciò che appartiene al

senso comune e per quanto si presta meglio, secondo la sua logica, alla cifrazione di un

“non discorso” che vive nei suoi blocchi unitari, che sono psicologici, impalpabili,

sfuggenti. Interpretati come monadi, come universi conclusi, da ripescare nel gioco di

metterli insieme, scombinandoli dal contesto da cui sono stati prelevati, facendoli

diventare da un lato icone auto significanti, dall’altro emanazioni di una identità geografica

attraverso cui espone la sua destrezza artistica, figlia di una ricerca continua, che

non si accontenta mai delle mete raggiunte, ma va oltre, in contrade ignote e originali.

I suoi paesaggi vengono investiti da una ventata trasversale che li segna e li fa

diventare una visione debole che tende a sfumarsi e diventare invisibile, accelerando il

processo fantastico dell’invenzione che tende a costruire i particolari mancanti.

L’essere non è altro che il riflesso speculare di tutto ciò che ci accade intorno e costituisce

l’irripetibile di ogni incursione poetica nel terreno dell’invisibile, che è di per sé

il pauroso, in quanto effetto di desideri non realizzati, che si accompagnano ai bisogni

radicali che non s’arrendono mai. Perché costituiscono una continua proliferazione dell’uno

nei molti e dei molti nella disseminazione indeterminata, a cui queste opere tendono,

facendo ressa verso la regione dell’impossibile che abita nel regno onirico.

Dott. Francesco Gallo